La terra del grano nero

Dal 15 settembre approda nelle librerie la mia ultima fatica letteraria: “La terra del grano nero”.

Il romanzo si svolge nell’Ucraina degli anni ’30 del secolo scorso, all’epoca della cosiddetta holodomor – la carestia terroristicamente imposta da Stalin in Unione Sovietica dal 1932 al 1933 – che causò circa sei milioni di morti. Il termine deriva dall’espressione ucraina moryty holodom (Морити голодом), che combina le parole ucraine holod (fame, carestia) e moryty, (uccidere affamare, esaurire), mettendo in rilievo l’intenzionalità di procurar la morte per fame. Negli ultimi 20 anni, sia l’ONU che il parlamento UE hanno riconosciuto l’Holodomor come un crimine contro l’umanità.

Mosca, 1934. Michail Ivanovic Salomov, maggiore della OGPU, la famigerata polizia sovietica di sicurezza interna, riceve l’ordine di svolgere un’indagine assai delicata in Ucraina sulla sparizione di un collega incaricato di occuparsi delle requisizioni dei prodotti agricoli fra i contadini. È l’epoca della cosiddetta holodomor – la carestia terroristicamente imposta da Stalin in Unione Sovietica – che in Ucraina provocherà circa sei milioni di morti. Accanto a Salomov, giovane e ambizioso, c’è la tenente Ljudmila Ivanova Gromov: idealista, convinta della grandezza di Stalin, gli occhi una distesa di ghiaccio. Lo scontro con la povertà e la morte di massa, i soprusi operati dai dirigenti di partito, esercito e polizia a danno di chi lavora la terra per vivere portano presto i due ufficiali a mettere in discussione le proprie convinzioni militari, politiche ed etiche. Di fronte a tanta violenza e ingiustizia, i due protagonisti patiranno dilemmi e ripensamenti, e saranno costretti a riflettere su quanto sia difficile, soprattutto in situazioni di guerra, capire da che parte sia il male e quale la cosa giusta da fare.